Cara Paola, forse chiedi troppo, è difficile commentare un non-pensiero, delle banalità da bar che non esplicitano nulla. Un po' come una recensione filosofica di “Va dove ti porta il cuore”? Comunque siccome lo chiedi ed io ti stimo perché so che sei sincera nella richiesta, ovvero t'interessa il nostro parere, lo prenderò sul serio, per farlo dovrò ricostruire il suo pensiero, il non detto, per banalità dell'autore o per disonestà intellettuale. Cosa dice l'articolo? Dice che nella scuola ci sono varie tipologie di docenti: alcuni che non fanno nulla o non sanno fare nulla, alcuni bravi, ed altri stanchi e demotivati. Una banalità appunto, poi sostiene che per gli indecenti occorrerebbe il preside-sceriffo perché oggi nulla si può fare contro di loro, ma questo è falso perché anche oggi è possibile sanzionarli o sottoporli a visita ispettiva, i bravi andrebbero premiati, e gli stanchi rimotivati. Ancora banalità, dimentica una quarta categoria: quelli che sanno distinguere ad occhio le tre tipologie, ovvero lui. Mi sono chiesto a quale delle tre io appartenga e la risposta è difficile. In classe lavoro, perciò non dovrei essere indecente, ma i risultati sono controversi, perciò potrei non essere capace, alcuni studenti si rivolgono a me per consiglio anche anni dopo il diploma ed alcuni sostengono che sarei riuscito a motivarli nella vita, perciò potrei essere bravo (anch'io come l'autore prenderei buoni voti dai miei alunni, anche grazie al fatto che insegno storia e filosofia, ma questo non dice nulla sulla mia “bravura” che non dovrebbe essere basata sul consenso del cliente), anch'io sono stanco e demotivato, chi non lo sarebbe nelle condizioni date? Insomma l'articolo riporta delle banalità e per di più ad un esame onesto ci dice che ognuno di noi, o almeno io, potrebbe essere una qualsiasi delle tre categorie, evitando di estremizzare, ovvero di pensare ad un idealtipo che nella realtà non esiste. Di che parliamo allora? Parliamo della parolina chiave, detta e non detta: il merito. Amartya Sen, autore che l'autore dell'articolo poco frequenta perché non banale, richiesto di parlare a proposito di merito e giustizia così inizia il suo articolo: “I have been asked to write on “Justice in Meritocratic Environments.” The idea of meritocracy may have many virtues, but clarity is not one of them. The lack of clarity may relate to the fact, as I shall presently argue, that the concept of “merit” is deeply contingent on our views of a good society.”
Insomma definire il merito non è per niente facile poiché dipende dall'idea di società che abbiamo. Nel Manifesto di Chelsea, brano tratto dal suo saggio “L'avvento della meritocrazia” Michael Young riporta: “Perchè, chiedevano, un individuo è considerato superiore ad un altro? Per colpa rispondevano, della ristrettezza dei valori ultimi, e criteri di giudizio in base ai quali gli uomini si valutavano vicenda. Quando l’Inghilterra era governata da guerrieri, il cui potere era fondato sull’abilità di uccidere, grand’uomo era il gran condottiero; e i pensatori, i poeti e i pittori venivano trattati con disprezzo. Quando l’Inghilterra era governata da proprietari terrieri,coloro che vivevano del commercio o della predicazione o del canto erano tutti considerati di razza inferiore.
Quando l’Inghilterra era governata da capitani ’d’industria, tutti gli altri uomini erano considerati inferiori. E tuttavia — essi sostengono — non c’era mai stata una semplificazione cosi grossolana come nell’Inghilterra odierna. Dato che il paese si consacra all’unico, supremo scopo dell’espansione economica, le persone vengono giudicate solo in base a quanto incrementano la produzione, o alle competenze che, direttamente o indirettamente, porteranno a quel fine. Se fanno soltanto quello che fa il comune lavoratore manuale, non contano niente.
Se fanno quanto fa lo scienziato la cui invenzione esegue il lavoro di diecimila individui, o il dirigente che organizza covate intere di tecnici, allora appartengono al novero dei grandi. La capacità di aumentare la produzione, direttamente o indirettamente, si chiamava “intelligenza”: questa ferrea misura è il criterio con cui la società giudica i suoi membri. Nello Stato moderno l’intelligenza qualifica all’esercizio del potere quanto la qualificava la nascita nello Stato d’una volta. L’affermarsi di questa qualità é dovuta a un secolo di guerre e di minacce di guerra, in cui il genere di realizzazione professionale che aumentava il potenziale bellico nazionale veniva esaltato sopra ogni altro; ma — dicono i tecnici — ora che la minaccia non é più cosi immediata, non potremmo incoraggiare il pluralismo dei valori?”
La cosiddetta meritocrazia, ovvero l'idea che si debba premiare il merito, è argomento ideologico assai complesso, in realtà lo si usa senza sapere quel che si dice. Quando Tony Blair lanciò questo slogan Micheal Young, l'inventore dello slogan (leggere la sua biografia su wikipedia per vedere se trattavasi di mediocre? ) gli scrisse, sul Guardian: “It is highly unlikely the prime minister has read the book, but he has caught on to the word without realising the dangers of what he is advocating.”
Come vedi, e mi scuso per la lunghezza del commento, questioni complesse, di non facile comprensione. Io non so se l'autore dell'articolo sia un ingenuo o un agente della ragione neoliberista (personalmente penso sia un ingenuo), ma commentare partendo dai suoi articoli è difficile perché ti devi “inventare” un significato che potrebbe esserci o non esserci.
Per analisi più complesse della questione rimando al mio blog www.rosariopaone.it